Le donne in pensione a 65 anni |
![]() |
![]() |
Scritto da Gian Battista Cassulo |
Sui quotidiani del 14 dicembre a tenere ferma la pubblica attenzione è la proposta di Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica, volta a parificare l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. Tutti a sessantacinque anni in pensione dunque, e la fase sperimentale dovrebbe partire nell’ambito del pubblico impiego. Come è immaginabile le proteste non sono mancate a partire dai sindacati che su questo fronte hanno ritrovato la loro unità da alcuni mesi andata perduta di fronte all’intransigenza della CGIL nei confronti del governo Berlusconi. Ma vi sono anche molte voci a favore, come quelle delle donne manager, e di economisti come Pietro Garibaldi, oltre che la legislazione europea che prevede già da tempo questo limite comune. La conquista dei diritti politici da parte del mondo femminile.Sebbene nel mondo femminile vi siano state in tutte le epoche – quella dell’età classica, quella medievale, quella rinascimentale – alte figure che hanno degnamente rappresentato nella cultura, nell’arte, nella spiritualità, nella politica l’immagine della donna, una domanda organica di “partecipazione sociale ed economica” è riuscita a farsi strada solo con l’Illuminismo. Nel “secolo della ragione” possiamo infatti fissare la tappa più importante per la rivendicazione del riconoscimento del ruolo della donna nella società. Con la Rivoluzione Francese infatti troviamo Marie Olimpe de Gouges impegnata ad inviare petizioni sulla “questione femminile” alla Assemblea Costituente; si formano in Francia, ma soprattutto a Parigi, dei “Club di donne” che reclamano nuovi diritti, ma l’epoca del “terrore” avviata da un Robespierre, impegnato a rafforzare il potere centrale, scioglie nel sangue queste neonate aggregazioni. Il passaggio decisivo però è compiuto e la “questione femminile” di lì a poco acquisterà il dovuto rilievo diventando un “fatto politico” attorno alla metà dell’Ottocento, con l’emergere del principio di indipendenza economica della donna. Nel mondo questo fatto politico ha avuto percorsi diversi ma, tutto sommato, quasi coincidenti nelle fasi più significative. Negli Stati Uniti nel 1844 a Seneca Falls, in un convegno, le donne avanzano le prime richieste al voto e nel 1889 nasce da parte dell’International Council of Women una forte campagna di sensibilizzazione della pubblica opinione per il suffragio femminile che negli U.S.A. verrà riconosciuto nel 1920. Anche in Gran Bretagna è nella seconda metà dell’Ottocento che le donne rivendicano la completa parità dei diritti politici e già nel 1869 votano per i Consigli municipali e, nel 1889, anche per i Consigli di contea. Nel 1903 il movimento delle “suffragette” diventa in Inghilterra una associazione attiva e radicale che organizza convegni, conferenze, petizioni, addirittura “scioperi della fame” e riesce ad ottenere, nel 1907, la eleggibilità delle donne alla carica di Sindaco. Le donne inglesi nel 1918 fanno un ulteriore passo avanti ed ottengono il voto politico, che nel 1929 viene esercitato in piena parità con gli uomini. In Francia, nel clima premonitrice della “Comune”, si forma nel 1870 una associazione in favore del suffragio femminile, ma è solo nel 1945, dopo la II Guerra Mondiale, che le francesi ottengono l’esercizio concreto al voto. In Italia il percorso dell’universo femminile verso la integrazione sociale e politica è leggermente più complesso perché già prima della unificazione, avvenuta il 17 marzo 1861, in alcune zone della penisola – come nel lombardo/veneto e nella Toscana – le donne possidenti già partecipano alla scelta degli amministratori locali. Così, nel tentativo di uniformare la materia, tra il 1863 e il 1876 vengono presentate numerose proposte di legge, che però restano senza risultati concreti. In Italia, nonostante la riforma di Agostino Depretis del 1882, il corpo elettorale è ancora molto ristretto; sono infatti poco più di due milioni i sudditi aventi diritto al voto. Per sollecitare il Parlamento a prendere a cuore la “questione femminile” nasce, nel 1903, il Consiglio Nazionale delle Donne e poi “l’alleanza femminile pro-suffragio”, ma nel 1912 Giovanni Giolitti, varando il suffragio universale maschile – che entrerà in funzione nel 1918 – non accoglie le richieste delle rappresentanze femminili. Sarà Francesco Saverio Nitti a proporre l’allargamento del suffragio alle donne e Benito Mussolini lo accoglierà nel 1923 introducendo il voto amministrativo femminile, che di fatto non troverà applicazione per via della riforma fascista degli Enti Locali. L’elettorato femminile italiano dovrà attendere il 1946 per essere chiamato, per la prima volta, ad esprimersi sul Referendum Monarchia/Repubblica e per votare la Assemblea Costituente. Il 18 aprile 1948, con l’introduzione del suffragio universale maschile e femminile sancito dalla Costituzione repubblicana (Art. 48), le donne iniziano anche in Italia la loro piena partecipazione politica nella vita del Paese. In tutto questo processo comparativo è da notare che se l’idea della “questione femminile” prende corpo attorno alla seconda metà dell’Ottocento, è subito dopo la conclusione della I guerra mondiale che la donna riesce a porre con forza i suoi diritti politici, perché nella dura esperienza del “Fronte interno” sofferta da tutte le nazioni belligeranti, il mondo femminile ha saputo, dando prova di tenacia e di abilità, sostituire nei campi, nelle officine, nella scuola, negli ospedali il mondo maschile impegnato nelle trincee del primo grande conflitto mondiale. - Conclusioni –Da quella data ad oggi la frattura politica tra i due “universi” che era basata su vecchie prerogative, viene a cadere per lasciare spazio ad una nuova più civile e più accettabile frattura e cioè quella della preparazione, della competenza e della serietà nel lavoro e nella famiglia. Ed è proprio su questo versante che, in un ribaltamento dei protagonisti, a soffrirne di più è oggi il mondo maschile. Gian Battista Cassulo
Potete commentare l'articolo dopo esservi iscritti al sito ed aver effettuato la login |